Walter Rosemberg (Rudolf Vrba) e Alfred Wetzler, rinchiusi ad Auschwitz dalla metà del 1942, il 7 aprile del 1944, riuscirono a fuggire in maniera rocambolesca dal campo. Essi rimasero nascosti sotto una pila di legname nel settore BIII di Birkenau, chiamato Mexico, per tre giorni consecutivi, mentre gli SS del campo erano alla loro caccia armati e accompagnati da cani.Dopo 18 giorni di un viaggio disperato, il 25 aprile i due fuggitivi raggiunsero la cittadina di Zilina in Slovacchia, dove riuscirono a mettersi in contatto con notabili ebrei in clandestinità. Il 27 avevano già preparato un rapporto scritto. Era stato chiesto loro di redigerlo separatamente in due stanze diverse. Così fu fatto. Alla fine i due memorandum furono riuniti in un unico testo in 60 pagine dattiloscritte, parzialmente in slovacco, parzialmente in tedesco. Il rapporto riguardava ciò che accadeva dentro a Auschwitz, non solo in base a ciò che essi avevano visto personalmente, ma anche in base alle notizie che per mesi avevano raccolto da altri detenuti, compresi membri del Sonderkommando. All’epoca della loro fuga, molte notizie sul genocidio degli ebrei erano giunte in Occidente, e già a partire dall’estate del 1942, ma ad Auschwitz non si era prestata grande attenzione. Il loro fu il primo dettagliato resoconto sul meccanismo dello sterminio di massa applicato dentro a Birkenau, luogo fino ad allora quasi totalmente ignoto agli osservatori occidentali.Essi descrissero il campo, la sua planimetria, i suoi impianti di sterminio, l’organizzazione interna e il servizio di sorveglianza, il sistema della numerazione dei detenuti, la vita di ogni giorno, le reazioni degli SS alle fughe dei prigionieri, le selezioni iniziali sulla banchina di arrivo (le rampe), le selezioni interne, le punizioni, le uccisioni, le gassazioni. Non riuscirono a dare il numero esatto delle vittime ma solo una stima approssimativa: 1.765.000 ebrei tra l’aprile del 1942 e l’aprile del 1944 (valutazione risultata troppo alta secondo gli ultimi studi). Il proposito del rapporto fu di avvertire il mondo occidentale ed indurlo ad intervenire. Entro la fine di aprile del 1944, raggiunse i leader delle comunità ebraiche a Bratislava e a Budapest.In Ungheria, dove dal 15 maggio erano iniziate le massicce deportazioni verso Auschwitz, il rapporto iniziò a circolare solo nel giugno successivo, mentre in Slovacchia esso fu subito conse-gnato dai due leader, il rabbino Michael Dov Weissmandel e Gisi Fleischmann, a Giuseppe Burzio, l’Incaricato d’Affari Vaticano a Bratislava. Sembra che Monsignor Burzio abbia mandato il rapporto in Vaticano il 22 maggio del 1944 ma che questo raggiunse la destinazione solo alla fine di ottobre.Un’altra copia del rapporto Vrba-Wetzler, inviato tramite la resistenza slovacca, raggiunse Jaromir Kopecki, rappresentante diplomatico del governo slovacco in esilio di stanza in Svizzera. Il messaggio raggiunse il segno, Kopecki si mise subito in contatto con Fritz Ulmann, rappresentante dell’Agenzia Ebraica e con il segretario del Congresso Mondiale Ebraico Gerhart Riegner, a Ginevra. Nello stesso tempo fece pervenire il rapporto, come richiesto da Weissmandel e Fleischmann, assieme alla loro lettera datata 22 maggio 1944, al rabbino Shoenfeld di Londra. La distruzione dell’ebraismo ungherese era ormai inesorabilmente in corso, egli incluse nel messaggio i suggerimenti dei due leader slovacchi: 1) che il Foreign Office informasse gli altri governi alleati, soprattutto quelli che avevano loro cittadini rinchiusi nel campo e che indirizzasse un ammonimento ai tedeschi e agli ungheresi secondo cui i tedeschi che erano nelle mani dei gover-ni Alleati avrebbero subito delle ritorsioni, 2) che si bombardassero i crematori, distinguibili dalle alte ciminiere e dalle torrette di guardia, 3) che si bombardassero le maggiori vie di comunicazione tra la Slovacchia e l’Ukraina sub-carpatica, 4) che si usasse il rapporto per una larga campagna di sensibilizzazione, senza citarne la fonte, 5) che si rendessero pubblici gli ammonimenti ai tedeschi e agli ungheresi, 6) che si chiedesse al Vaticano di pronunciare una dura condanna pubblica, 7) che il Foreign Office informasse il Congresso Mondiale Ebraico e l’Agenzia Ebraica di Londra.
Il 26 maggio, Kopecki, mandò un estratto del rapporto anche al governo cecoslovacco in esilio a Londra aggiungendovi la testimonianza di un terzo transfuga da Auschwitz, Jerzy Tabeau, un ufficiale dell’esercito polacco che il 19 novembre del 1943 precedente era riuscito ad evadere con l’assistenza della Resistenza del campo. Assieme ad un compagno di prigionia, Roman Cieliczko, era riuscito a raggiungere il Governatorato Generale. A Zakopane, Cieliczko si era congiunto con una unità partigiana, mentre Tabeau aveva proseguito verso Cracovia dove era entrato in contatto con la combattente antinazista Teresa Lasocka-Estreicher. Questa, attivamente coinvolta nell’aiuto ai detenuti di Auschwitz, era in contatto con la Delegazione locale del Governo polacco in esilio a Londra. A Cracovia, in dicembre, Tabeau stese il suo rapporto su Auschwitz-Birkenau. Kopecki si mise poi in contatto, assieme a Riegner, sia con il rappresentante a Londra del War Refugee Board, sia con il Comitato della Croce Rossa Internazionale. Questa volta Kopecki fu in grado di dare notizie anche delle tragiche deportazioni dall’Ungheria, iniziate il 15 maggio che il rapporto Vrba-Wetzler non dava perché precedente a tale avvenimento.
In effetti due altri ebrei erano riusciti a fuggire da Auschwitz il 27 maggio e avevano raggiunto la Slovacchia il 6 giugno 1944 rifacendo lo stesso percorso di Vrba e Wertzler. Erano il polacco Czeslaw Mordowicz e il cecoslovacco Arnost Rosin che dettero un resoconto dei primi arrivi degli ebrei ungheresi e della loro uccisione di massa. Essi si incontrarono con Vrba e Wetzler nel loro rifugio a Liptovsky Svaty Mikulas, ai piedi dei monti Tatra. Nel frattempo un’altra edizione, abbreviata e in inglese, del rapporto inviata il 19 giugno da Moshe Kraus dell’Ufficio palestinese a Budapest, completo del racconto delle deportazioni dall’Ungheria, raggiunse la Svizzera. Essa conteneva la notizia che più di 430.000 ebrei erano stati deportati dall’Ungheria verso Birkenau. Il rapporto arrivò sotto gli occhi del giornalista inglese Walter Garrett. Da allora vari servizi furono diffusi attraverso Radio Londra e vari articoli sul genocidio in atto ad Auschwitz apparirono sulla stampa inglese e svizzera. Il rapporto fu poi inviato, alla fine di giugno personalmente da Kopecki a Londra al presidente della Repubblica cecoslovacca in esilio Edvard Benes, che a quell’epoca ne era già al corrente.
Il 4 luglio 1944, questi rivolse un appello ai governi alleati per un intervento diretto con ammonizioni alla Germania, in favore di bombardamenti sui crematori di Auschwitz e sulla linea ferroviaria. La risposta del Foreign Office, del 29 luglio, alla nota cecoslovacca, dopo consultazione con gli Stati Uniti, fu l’assicurazione che “erano state prese tutte le misure necessarie per il salvataggio delle vittime”, misure che però corrispondevano soltanto all’impegno nel portare avanti la guerra con successo. I rapporti dettero origine a una relazione pubblicata a Washington a cura dell’Executive Office of the President del War Refugee Board nel novembre del 1944 in 59 pagine (Doc. NO 022-L). Contemporaneamente il rapporto venne pubblicato anche in Svizzera in due diverse versioni, l’una dal titolo “L’extermination des Juifs en Pologne. Depositions et temoins oculaires”, pubblicata a Ginevra a cura del dottor A. Silverschein, un’altra dal titolo “Souvenirs de la maison des morts. Le massacre des Juifs” in 76 pagine senza data e senza luogo di edizione, ma di sicura origine svizzera. La stampa americana prese coscienza del contenuto dei rapporti dei 5 fuggitivi di Auschwitz solo sette mesi dopo la loro estensione. Dopo la pubblicazione del War Refugee Board, il New York Times ne pubblicò un ampio estratto. Troppo tardi perché la commozione dell’opinione pubblica potesse influenzare le decisioni alleate di non bombardare Auschwitz e salvare gli ebrei ungheresi.
* Da Destinazione Auschwitz (CD-Rom), Proedi, Milano 2000.
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